L’allattamento a richiesta

Nutrienti, benefici e considerazioni sul primo legame alimentare tra mamma e neonato

di Erika Fragano

L’allattamento è un tema delicato, da affrontare con una specifica premessa: non è una performance che misura il valore di una madre. Ci sono mamme che non possono allattare, mamme che preferiscono utilizzare il latte in formula o fare un allattamento misto, mamme che si trovano costrette a smettere di allattare prima del dovuto. Sull’allattamento ogni mamma deve essere sostenuta e rispettata nelle sue scelte.

Partiamo dalle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: l’allattamento esclusivo al seno è raccomandato per i primi 6 mesi di vita del neonato e può essere portato avanti fino ai 2 anni e oltre di età, integrando la dieta con cibi complementari, idonei e sicuri.

Un corretto allattamento, e in seguito un corretto approccio all’alimentazione complementare (conosciuta come “svezzamento”), è di grande importanza per sviluppare l’autoregolazione del bimbo sulla base dell’ascolto dei segnali di fame e sazietà, sensazioni innate nei bambini e che rimangono tali fino ai 3-4 anni di età. Quando il bimbo viene allattato a richiesta, egli “ciuccerà” esattamente la quantità di latte di cui ha bisogno in quel momento.

I NUTRIENTI

L’allattamento è un modo, naturale ed economico, per nutrire neonati e bambini, in quanto il latte fornisce nutrienti completi, di alta qualità e di energia adeguata. La composizione nutrizionale del latte della mamma si adegua a seconda dell’età dei bambini ed è inoltre “specie-specifico”.
La composizione in zuccheri, proteine, grassi, varia in base alla specie: per esempio il latte di mucca è molto più ricco di proteine e più povero di lattosio, in quanto il vitellino ha bisogno di crescere a livello muscolare in poco tempo; il latte umano contiene invece più lattosio, quindi più zuccheri, perché per il neonato è fondamentale sviluppare prima il cervello e le abilità cognitive, mentre la crescita in termini di peso avviene più lentamente che in altre specie animali.

BENEFICI PER LA MAMMA E PER IL BAMBINO

L’allattamento favorisce la creazione del legame tra mamma e bambino e sviluppa una protezione nei confronti di diverse infezioni, previene il rischio di diabete, sovrappeso e obesità, e sostiene lo sviluppo della flora batterica intestinale.

L’allattamento comporta tanti benefici anche per la mamma:

Visti i numerosi benefici dell’allattamento al seno, non resta che prendere una scelta informata e responsabile e affidarsi a un professionista in caso di problematiche più specifiche.

L’APPETITO DELLA MAMMA

Tantissime donne si trovano spiazzate dall’enorme appetito che caratterizza l’allattamento. Le sensazioni fisiche sono completamente stravolte rispetto al periodo pre-gravidico e se durante la gravidanza il senso di appetito era alterato a causa della presenza del pancione, di punto in bianco ci si trova senza pancione e con tantissimo appetito. Perché accade questo?

Innanzitutto normalizziamo la fame: è normalissimo avere più appetito perché il fabbisogno durante l’allattamento a richiesta è notevolmente aumentato. Consideriamo che il latte contiene calorie che vengono prodotte dal corpo della mamma e che il processo stesso di produzione di latte richiede tanta energia.

Man mano che il bambino si sviluppa, i suoi fabbisogni aumentano e di riflesso crescono anche la produzione di latte e il fabbisogno materno: la mamma ha bisogno di tantissime energie per supportare quello che sta succedendo nel suo corpo, e il corpo glielo fa capire inviando un forte segnale di fame.

È importante che la mamma abbia un’alimentazione sana ed equilibrata, e in particolar modo ci si deve focalizzare su alcuni aspetti:

ALLATTAMENTO - ALCUNI CONSIGLI PRATICI

  1. Non seguire una dieta in questa fase: può solo peggiorare lo stress e non è sicuramente una soluzione a lungo termine;
  2. La colazione è importante, deve essere saziante, con una buona dose di carboidrati, una quota di proteine e tanti liquidi. Se necessario si possono fare anche due colazioni: una rapida al mattino presto, e una verso le 8-9 di mattina;
  3. Tenere sempre in casa alcuni alimenti semplici con cui poter fare uno spuntino, che viene consigliato dopo ogni poppata (fette biscottate, taralli, crackers, yogurt senza zuccheri, frutta fresca già pronta a pezzi, …)
  4. Per i pasti principali (pranzo e cena) non sono da demonizzare i pasti ready to eat o i piatti molto semplici, dove si vanno a comporre i pasti con alimenti singoli che non richiedono una grande preparazione (Esempio: pezzo di carne con verdure crude e pagnotta di pane). Alcuni pasti saranno improvvisati, altri non saranno completi, altri saranno troppo esigui… è normale che succeda così. Potrebbe essere utile chiedere ai compagni, amici, familiari, di aiutarci a preparare almeno un pasto completo al giorno;
  5. Quando possibile, il cosiddetto meal prep può essere utilissimo. Consiste nel preparare in anticipo tante porzioni di uno stesso alimento o pasto che possa essere conservato in frigo o in freezer, in modo che la preparazione sia il più breve possibile. Alcuni esempi possono essere il ragù di carne o vegetale, cereali bolliti, polpette di carne o di legume, pesto di verdura, verdure fresche già tagliate e pulite.

BIBLIOGRAFIA

• Nutrizione in gravidanza e durante l’allattamento - Raccomandazioni SIGO 2018

• Linee guida per una sana alimentazione, Dossier scientifico ed. 2017 - CREA

Supporto psicologico durante la Procreazione Medicalmente Assistita: quali le ragioni per richiederlo

Le statistiche parlano chiaro: in Italia circa il 40% delle coppie che fa ricorso alla fecondazione assistita abbandona il percorso dopo un solo tentativo fallito.

Perché? Purtroppo si tratta di percorsi che spesso possono rivelarsi più lunghi, incerti e faticosi di quanto ci si aspetti inizialmente. Sono cammini emotivamente complessi, anche dal punto di vista relazionale, sia per la donna sia per l’uomo che cercano la strada per diventare genitori: il mancato concepimento nel momento in cui si cerca una gravidanza e la diagnosi di infertilità sono veri e propri ‘eventi traumatici’ che possono portare a una crisi dei singoli partner o della coppia, in quanto tale, specie se la ‘condizione’ permane per lungo tempo.

“Accettare la condizione di infertilità ed eventualmente affrontare il successivo iter diagnostico e terapeutico necessario per provare a realizzare il desiderio di genitorialità non è certamente semplice e finisce per richiedere un grande dispendio di energie, fisiche e soprattutto emotive. Un adeguato sostegno psicologico permette di ‘reggere’ meglio lo stress e di affrontare questo percorso il più serenamente possibile, acquisendo maggiori strumenti e risorse per superare le difficoltà”, commenta la dott.ssa Valentina Monti, psicologa del centro Genesia.

“Faccio il medico della riproduzione ormai da molti anni e nel mio percorso professionale ho incontrato coppie molto differenti, per background, storia clinica e approccio alla fecondazione assistita: in passato erano molte le coppie che rifiutavano la consulenza psicologica, perché la ritenevano superflua e adatta solo a chi stava già vivendo male il percorso. Oggi per fortuna le cose sono molto cambiate e donne e uomini alla ricerca di un bimbo capiscono bene il valore aggiunto che il supporto psicologico può rappresentare”, aggiunge il dott. Borini, ginecologo specializzato in fecondazione assistita, direttore di 9.baby, un network GeneraLife.

Cosa prevede la legge 40/2004?

La legge 40/2004 che regola la fecondazione assistita nel nostro paese tiene in considerazione le importanti implicazioni psicologiche legate all’infertilità e ai trattamenti di Procreazione Assistita e per questo prevede che i Centri mettano a disposizione dei pazienti un servizio di consulenza e supporto psicologico.

Il ricorso a tale servizio, pur non essendo obbligatorio, è vivamente consigliato, e come da linee guida pubblicate nel 2008 ad integrazione della l.40/2004, deve essere reso accessibile prima, durante e dopo che il trattamento è stato completato, ovvero in tutte le fasi del percorso di fecondazione assistita.

Consulenza e supporto psicologico al centro Genesia

Genesia offre alle coppie la possibilità di accedere al servizio di consulenza e supporto psicologico.

Idealmente, la coppia, successivamente alla prima visita con il medico, avrà a disposizione un primo momento di incontro conoscitivo nel quale potrà conoscere il personale sanitario che la seguirà e ottenere le informazioni necessarie rispetto al funzionamento del percorso medico e psicologico, secondo un approccio multidisciplinare e personalizzato su ciascuna coppia.

A questo primo incontro, per le coppie che lo vorranno, seguiranno tre successivi incontri, ciascuno in un momento che porta con sé difficoltà e ansie differenti: uno, subito prima dell’inizio dell’avvio del trattamento; il secondo, nella fase nella quale operativamente la coppia effettua il trattamento individuato come ideale per l’ottenimento della gravidanza; il terzo, nel momento in cui il trattamento sarà ultimato.

Al termine dei tre incontri previsti per il percorso di Procreazione Assistita, la psicologa resta comunque a disposizione delle coppie che lo intendessero proseguire il percorso di consulenza e supporto anche nelle fasi successive.

Procreazione medicalmente assistita (PMA): che cos’è e quando può essere la strada per noi

L’infertilità è definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come l’incapacità di ottenere una gravidanza dopo 12 o più mesi di rapporti sessuali regolari non protetti.

Che cosa è la fecondazione assistita?

Quando si parla di fecondazione assistita, si fa riferimento all’insieme delle tecniche utilizzate per aiutare il concepimento, quando la coppia non riesce ad ottenere la gravidanza per vie ‘naturali’.

Il concepimento dipende da diversi fattori, non ultima l’età nella quale si comincia a cercare una gravidanza; non tutti questi fattori sono ‘controllabili’, ma grazie alle evoluzioni della disciplina è oggi possibile pensare di poter diventare genitori anche in presenza di patologie a carico dell’apparato riproduttivo maschile e/o femminile delle coppie che stanno cercando una gravidanza.

Il ricorso alla fecondazione assistita è sempre più frequente: statisticamente, circa il 15% delle coppie scopre ostacoli nel cammino verso la genitorialità, ma negli ultimi anni l’avanzamento dell’età di coloro che avviano la ricerca di un bimbo ha fatto crescere enormemente il numero di coppie che devono ricorrere alla PMA per poter diventare madri e padri.

Che cosa è la riserva ovarica?

Non esistono esami che certifichino preventivamente l’infertilità, ma sicuramente ci sono alcuni valori il cui dosaggio può aiutare a fotografare lo stato del nostro apparato riproduttivo e la condizione complessiva della coppia.

Nel caso della partner femminile, ad esempio, il dosaggio dell’AMH (Ormone Antimulleriano) permette di avere una indicazione sulla cosiddetta riserva ovarica.

Poiché la quantità circolante dell’ormone antimulleriano è proporzionale al numero dei follicoli ancora a disposizione e i suoi valori si riducono con la riduzione dei follicoli ovarici, misurarlo, con un semplice esame del sangue che può essere effettuato in qualsiasi giorno del ciclo, di fatto, significa avere una indicazione riguardo al patrimonio ovocitario di una donna in un determinato momento.

Cosa è lo spermiogramma?

Nel caso del partner maschile, lo spermiogramma è la prima indagine che viene prescritta per approfondire l’eventuale presenza di un fattore maschile di infertilità della coppia. È considerato IL test maschile per eccellenza, fondamentale per definire il quadro della condizione della fertilità maschile. Attraverso lo spermiogramma si studiano le caratteristiche macroscopiche (volume, pH, fluidificazione, viscosità) e microscopiche (numero, motilità e morfologia spermatica) del liquido seminale. Viene effettuato sul campione di liquido seminale raccolto per masturbazione dopo 3-5 giorni di astinenza.

Ovviamente, esistono altre indagini possibili verso le quali la coppia viene indirizzata nel caso in cui lo spermiogramma desse evidenza di potenziali problematiche.

L’età della futura madre incide sulle probabilità di gravidanza?

L’età femminile è uno dei fattori che impatta maggiormente sulle probabilità di avere una gravidanza e stringere un bimbo tra le braccia.

La capacità riproduttiva non sempre corrisponde alla percezione che abbiamo di noi stessi e di chi ci sta vicino: ci convinciamo del fatto che siamo giovani almeno quanto lo sembriamo. Il punto è che non sempre è così, specie dal punto di vista del potenziale riproduttivo: più si ‘invecchia’ e più diminuiranno il numero e la qualità degli ovociti; questo implica anche la diminuzione del numero di embrioni che potranno svilupparsi, specialmente di quelli euploidi, cioè caratterizzati dalla presenza di un numero di cromosomi nella norma, che sono quelli che la natura normalmente dota della capacità di dare il via ad una gravidanza.

Le tecniche di procreazione medicalmente assistita possono però facilitare il percorso verso una gravidanza, superando anche molti degli ostacoli legati all'età della futura madre. Per esempio con l'ovodonazione, una delle tecniche di fecondazione assistita ‘eterologa’.

Fecondazione omologa ed eterologa

La fecondazione assistita può essere effettuata con l’utilizzo di gameti della coppia- e in questo caso la si definisce di tipo omologo- o con l’utilizzo di ovociti e/o seme provenienti da donatori esterni alla coppia, e in questi casi si parla di trattamenti di tipo eterologo.

Dal 2014 la Corte Costituzionale ha fatto decadere il divieto di fecondazione eterologa nel nostro Paese e pertanto le tecniche che oggi possono essere utilizzate sono sia omologhe che eterologhe.

La donazione, nel nostro Paese, deve essere per legge completamente gratuita: questo contribuisce alla difficoltà di reperimento di donatori e, in particolare, di donatrici;  si tratta infatti di un percorso impegnativo quello della donazione e oggi, nel nostro Paese, per permettere ai pazienti l’accesso a questo tipo di trattamenti è necessario utilizzare gameti provenienti da banche estere; questi soggetti, naturalmente, rispettano i requisiti definiti per legge, garantendo così sia modalità di ottenimento e crioconservazione dei gameti in linea con gli standard, sia lo stato di buona salute di chi dona.

Peraltro, ovviamente, visto che gli ovociti donati sono di donne giovani, le percentuali di successo di questo tipo di trattamenti sono decisamente elevate.

Quali sono le tecniche di fecondazione assistita più diffuse?

Esistono tecniche definite di I livello e tecniche di II e III livello, più complesse.

Si parla di tecniche di I livello quando la fecondazione avviene all’interno del corpo femminile; si parla di II livello, quando la fecondazione avviene ‘in vitro’, fuori dal corpo della donna, in laboratorio. Le tecniche più diffuse di fecondazione in vitro sono la FIVET (fecondazione in vitro con transfer embrionale) e la ICSI (iniezione intracitoplasmatica degli spermatozoi), che differiscono tra loro principalmente per come avviene la fecondazione dell’ovocita: nella ICSI lo spermatozoo è ‘iniettato’ nell’ovocita; nella FIVET gameti maschili e femminili vengono ‘semplicemente’ fatti incontrare in vitro sullo stesso terreno di coltura.

Come facciamo a sapere qual è il percorso più adatto per noi?

Quando, dopo qualche mese di tentativi infruttuosi, sorge il dubbio che ci possa essere qualche ostacolo tra noi e la realizzazione del nostro desiderio di diventare genitori, il primo passo da fare è quello di rivolgersi a un professionista che possa aiutarci a definire il quadro della nostra salute riproduttiva e di conseguenza ci supporti nella identificazione e nell’avvio di un percorso di fecondazione assistita idoneo al nostro caso.

Effettuare un primo colloquio con un medico della riproduzione ci permetterà di raccogliere informazioni corrette e precise su tutti i percorsi oggi disponibili, senza lasciarci guidare da falsi miti e paure che possono insorgere rivolgendosi all’ormai famigerato ‘Dr. Google’;  rivolgersi ad un esperto, soprattutto, consentirà di non perdere tempo nel nostro cammino verso la maternità e la paternità, fattore che abbiamo visto essere potenzialmente cruciale per le nostre opportunità di gravidanza.

Infertilità maschile: cause e accertamenti diagnostici

Dall’anamnesi al più opportuno percorso di salute

Nell’uomo, la fertilità richiede l’efficienza e il coordinamento di processi fisiologici complessi, coinvolti nella produzione, nel trasporto, nell’eiaculazione di un numero adeguato di spermatozoi validi e nella deposizione di sperma nel tratto genitale femminile nel periodo periovulatorio.

Per classificare come “normale” la fertilità maschile, sono dunque necessari:

Ognuna di queste funzioni è regolata da un sistema fisiologico preciso, e l’alterazione di anche solo una di queste può portare ad una infertilità maschile.
Possono essere quindi presenti cause genetiche, ormonali, meccaniche, immunologiche e di interazione ovocita-spermatozoo.

L’infertilità colpisce il 15% delle coppie in età fertile: in circa il 30% delle coppie si riconosce un fattore maschile, nel 35% un fattore femminile e nel 20% dei casi la compresenza di entrambi i fattori. Nel rimanente 15% dei casi, l’eziologia è sconosciuta.

Nel caso di infertilità maschile, il primo passo da compiere è l’esecuzione di una adeguata anamnesi per identificare le cause, indagando su infezioni e su malattie acute e croniche, come il diabete, l’ipertensione arteriosa, la parotite.
È utile inoltre indagare su eventuali traumi o interventi chirurgici a livello genitale, così come su torsioni o ritenzioni testicolari.
Fondamentale è anche l’esecuzione di un’indagine genetica per escludere alterazioni cromosomiche o malattie genetiche come la fibrosi cistica.
Altri step necessari sono l’esecuzione di dosaggi ormonali per evidenziare un alterato sistema ipotalamo-ipofisi-testicolo (lh, fsh, prolattina, testosterone) e per ultimo l’indagine sullo stile di vita (fumo, alcool, droghe e lavori a rischio).

Eseguita l’anamnesi, è necessario uno spermiogramma per valutare la motilità, il numero e la morfologia degli spermatozoi presenti nell’eiaculato.
È utile anche l’esecuzione di una spermiocoltura, che consiste in un esame microbiogico sul campione seminale per individuare un eventuale ceppo patogeno, e prescrivere così un trattamento antibiotico.

Esistono dei casi di sub-fertilità maschile legati ad anomalie a livello genomico (frammentazione del DNA): per identificarle si effettuano indagini sul DNA spermatico con una metodica chiamata Tunnel Assay, che riesce a rivelare i danni al DNA nucleare.

Terapie e trattamenti

In base alla diagnosi, può essere assegnata una categoria di trattamento. Gli unici casi in cui può rivelarsi utile una terapia ormonale, sono quelli in cui si rilevano bassi valori di gonadotropine, e quelli derivanti da causa infettiva, dove il trattamento antibiotico può eventualmente risolvere il problema.
In tutti gli altri casi, le terapie mediche non risultano risolutive, e si suggerisce in questi casi il ricorso alle tecniche di Fecondazione Assistita.

Infertilità femminile, tra fisiologia ed età

L’infertilità femminile interessa il 30% delle donne e come per quella maschile è fondamentale svolgere quanto prima un’accurata anamnesi.
Le cause più frequenti dell’infertilità femminile sono costituite da disfunzioni ormonali, come nel caso dell’ovaio micropolicistico (PCOS). Altrettanto rilevanti sono le caratteristiche anatomiche: il trasporto dell’ovocita attraverso le tube risulta per esempio difficoltoso se la funzionalità o la morfologia delle tube stesse è alterata, o viene addirittura impedito se le tube si presentano chiuse per pregressi interventi o per infezioni pelviche o malattie croniche come l’endometriosi.
A quelle che possono essere classificate come cause fisiologiche si aggiunge il fattore età, il più complesso da ovviare.

La riproduzione umana non è efficiente. In coppie presumibilmente fertili, è stato dimostrato un tasso di fertilità del 20-30% al mese. Questo si spiega confrontando le statistiche: un terzo degli embrioni che si producono sono anomali; il 40-60% dei concepiti non arriva alla dodicesima settimana di gestazione; la maggior parte delle gravidanze si arresta prima che la gravidanza stessa venga riconosciuta dalla madre: sono le gravidanze biochimiche.

La fertilità femminile comincia a ridursi molti anni prima della menopausa, nonostante la presenza di normali cicli ovulatori.
La base fisiologica di questo declino coinvolge diversi fattori. Nelle donne le cellule germinali (ovociti) non vengono rigenerate durante la vita: il numero di ovociti e follicoli è determinato all’interno dell’ovaio e diminuisce fino alla menopausa, mentre la qualità degli ovociti restanti peggiora con l’età.
Nell’uomo, invece, l’aumento dell’età si associa a riduzione del volume spermatico, della motilità e della morfologia, ma non della concentrazione di spermatozoi. Non esiste in assoluto un’età in cui gli uomini non possano avere figli.

I meccanismi di regolazione responsabili dell’assemblaggio del fuso meiotico sono maggiormente alterati nelle donne di età avanzata, il che determina un’elevata prevalenza di aneuploidi negli ovociti e negli embrioni: questa è una delle principali cause della mancata gravidanza e dell’aumento degli aborti. La prevalenza di embrioni aneuploidi raggiunge quasi il 30% a 40 anni e addirittura il 50% a 42 anni.

Corsi di preparazione al parto

Le esigenze di mamma e nascituro secondo i tre approcci: ostetrico, psicologico e osteopatico

Il corso di accompagnamento alla nascita è l’occasione per ascoltare e capire i propri bisogni, rallentare i ritmi e mettersi in contatto coi bimbi ancora all’interno del grembo materno nell’utero.
Il tempo dell’attesa è molto diverso dalla frenesia a cui siamo quotidianamente abituati: è un tempo lento, pieno, fatto di tocchi, parole pensate e sussurrate, pensieri indirizzati e sensazioni fisiche in continuo cambiamento. Guidando la coppia nell’avvicinamento al parto, i percorsi di accompagnamento alla nascita affiancano i genitori in un ritorno all’essenza del proprio corpo e delle loro relazioni.

L’approccio ostetrico

Portando lo sguardo dentro di sé si osserva come il proprio corpo cambi in sintonia con la crescita del bimbo, e come la relazione con lui ponga le radici del prepararsi alla nascita. Il parto è un’apertura fisica ed emotiva verso il nuovo ruolo di genitori. Il corpo è lo strumento che ogni donna ha per accompagnare sé stessa e il proprio bambino ad assecondare il ritmo delle contrazioni con movimenti del bacino, posizioni libere e respiri lenti; grazie all’elasticità dei muscoli che avvolgono il canale del parto, il corpo si aprirà all’incontro col proprio bimbo

Il ruolo dell’ostetrica è permettere alla donna di scoprire le proprie risorse interne, e sostenerle attraverso esercizi di mobilità del corpo e dei muscoli pelvici, associati a tecniche di respirazione per aumentare la connessione col proprio bambino
La presenza dei papà è fondamentale negli incontri, perché è grazie a loro che le mamme possono lasciarsi andare e seguire la dinamicità del parto con fiducia.
All’interno degli incontri si scopriranno strumenti pratici per alleviare le fatiche ed essere di sostegno per la propria compagna durante tutta l’esperienza nascita.
Nel percorso ci sarà ampio spazio al dopo parto, un momento estremamente delicato e prezioso in cui i neo genitori si affacciano ai grandi cambiamenti della vita a tre. Iniziare questo momento con un bagaglio ricco di conoscenze, permette di raggiungere un benessere globale nel dopo parto. Gli incontri integrati tra psicologa, ostetrica e osteopata hanno questo obiettivo perché il dopo parto non può essere considerato da un solo punto di vista. L'allattamento sia al seno sia con altre strategie, richiede che mamma e neonato possano essere supportati nell'affrontare il turbinio di emozioni, nel comprendere quale sia la gestione migliore delle poppate e nel risolvere eventuali dolori al seno, grazie alla valutazione integrata dell'ostetrica, osteopata e psicologa.
Il corso di accompagnamento alla nascita ha l'obiettivo di rendere i futuri genitori protagonisti, in ascolto dei propri bisogni e di quelli dei propri bambini, per vivere con serenità ogni fase del cambiamento portato dalla nascita.

L’approccio psicologico

L’assunzione del nuovo ruolo di mamma e papà inevitabilmente comporta la revisione/aggiornamento di una serie di elementi costitutivi della persona, nella sua totalità (io soggetto). Cosa si modifica? Chi è implicato?
È un vero e proprio passaggio identitario, una sfida, che ha a che fare con:

Numerose ricerche hanno dimostrato che eventi di vita stressanti possono influenzare negativamente la gravidanza e lo stato di salute della mamma (e del papà) nel periodo perinatale e del nascituro, con effetti che possono persistere anche a lungo termine.
La natura e la qualità degli apprendimenti condizionano (e determinano) lo sviluppo neurobiologico di ciascun individuo, ma questi apprendimenti e le relative modificazioni neurobiologiche non sono automatiche, bensì mediate e modulate dalle persone che si occupano del bambino.
La qualità della relazione risulta determinante anche nella costruzione delle strutture neurologiche del cervello del bambino, e quindi nella qualità degli apprendimenti.
Geni, ambiente, fattori di rischio e di protezione, nella loro complessa interazione, determineranno lo sviluppo del bambino in stretta relazione dinamica tra i membri della famiglia (Epigenetica).
È importante quindi agire anche preventivamente, dando giuste informazioni e supporto alle coppie che aspettano un bambino, contribuendo al benessere della nuova famiglia in costruzione.

Secondo l’indagine ISTAT 2002 su gravidanza, parto, allattamento al seno, la partecipazione ai corsi di accompagnamento alla nascita è risultato uno degli elementi fondamentali per ridurre gli effetti negativi per la salute della madre e del bambino.
Il gruppo permette di acquisire informazioni per poter personalizzare la propria esperienza e prendere le decisioni più utili, elaborare con più facilità ciò che accade, rimodellare il proprio punto di vista, instaurare legami con le atre coppie.

L’ambiente accogliente e positivo, lo scambio e la condivisione di esperienze rafforzano la motivazione, favoriscono l’autostima e contribuiscono allo sviluppo delle competenze genitoriali.

L’approccio osteopatico

Sapersi ascoltare, sentire ogni piccolo cambiamento e imparare ad ascoltare i movimenti fetali permette di farsi guidare dai propri bimbi nel momento del parto: ogni bimbo, infatti, conosce la propria strada, e la sa condurre attraverso ai suoi movimenti.

La valutazione e il trattamento in osteopatia si svolgono esaminando la paziente nella sua globalità. In primo luogo si esegue un’accurata anamnesi, per poi passare alla valutazione dell’apparato muscolo-scheletrico, viscerale e craniale; infine si esegue il trattamento con caute manipolazioni delle zone che si trovano in disfunzione.

Questo permette una migliore mobilità strutturale della mamma, e di conseguenza consente al feto di muoversi meglio all’interno dell’utero. La terapia manuale inoltre migliora la vascolarizzazione della mamma e del feto attraverso la placenta.

L’osteopatia in gravidanza è molto utile sia per la mamma che per il feto: nella mamma, favorisce il miglior adattamento strutturale e posturale, corregge eventuali disfunzioni e consente una migliore prognosi per lo svolgimento del parto fisiologico; nel feto migliora la mobilità e previene asimmetrie posturali, che si possono innescare per il mantenimento continuo della stessa posizione all’interno dell’utero.

Gli occhi e la vista del neonato

Controlli e consigli per uno sviluppo corretto e funzionale

Tra i sensi, la vista rappresenta quello che più di tutti ci permette di percepire l’ambiente che ci circonda veicolando oltre l’80% di informazioni provenienti dall’esterno.
La vista tuttavia non è un senso innato: pur sviluppandosi fin dai primissimi giorni di vita, evolve per poi potenziarsi di pari passo con lo sviluppo motorio, sensoriale e cognitivo del neonato prima e del bambino poi.

Gravidanza

Durante la gravidanza, il bambino non è ancora in grado di vedere. Non è quindi possibile esercitare un’influenza diretta sullo sviluppo della sua capacità visiva: possiamo però averne cura, adottando uno stile di vita sano e seguendo le indicazioni del ginecologo che più favoriscano lo sviluppo dei suoi organi, compresi gli occhi e le aree del cervello deputate alla visione.

Nascita

Nel momento immediatamente successivo alla nascita, si realizza per i genitori il primo contatto fisico ma anche visivo con il neonato: guardando i suoi occhi per la prima volta, i genitori si aspettano l’incontro del proprio sguardo con quello del proprio bimbo, e spesso la mancata interazione genera ansia, anche nei giorni successivi.

Cosa è importante fare? Alla nascita il sistema visivo non è ancora pronto. Sarà il personale medico e sanitario ad occuparsi di prevenire eventuali infezioni tipiche della nascita, e valutare che non siano presenti anomalie oculari che compromettano lo sviluppo successivo della visione.

Primi mesi di vita

A partire dai primi giorni, il neonato inizia a percepire le variazioni di luce e buio; comincia a percepire il volto della mamma ad una distanza molto ravvicinata durante il momento dell’allattamento, anche grazie allo sviluppo dell’olfatto. In questa fase tuttavia il bimbo non ha ancora raggiunto uno sviluppo della vista che gli permetta di distinguere le forme o i colori.
Da questo momento in poi pian piano il suo cervello compirà uno sforzo immane nel comprendere ed interpretare i segnali che arrivano dagli occhi, e questo sarà uno stimolo fondamentale per lo sviluppo degli occhi stessi e di tutte le aree del cervello deputate alla vista.
Nel primo mese inizia a svilupparsi il riflesso di fissazione: in questa fase, il bambino inizia a prestare attenzione agli stimoli vicini e a percepire stimoli visivi costituiti da piccoli movimenti.
Nei primi mesi il suo sguardo è più attratto da oggetti colorati e da forme tondeggianti che richiamino la forma del viso.
Piano piano il piccolo inizia a mettere a fuoco oggetti leggermente più lontani e a distinguere le differenze delle forme e dei volti.
In queste fasi, un corretto sviluppo visivo funge da stimolo anche allo sviluppo motorio e viceversa.
La curiosità di toccare ciò che il piccolo vede richiede movimenti via via sempre più complessi, che lo portano a muoversi e spostarsi per prendere ad esempio il giocattolo che ha appena visto e che lo ha attratto.

Nei primi mesi di vita i bambini imparano lentamente anche a coordinare tra loro i movimenti degli occhi. Questa rappresenta una fase molto importante nello sviluppo visivo: mentre alla nascita il neonato non è in grado di muovere gli occhi in maniera sincrona, nei primi sei mesi di vita impara a coordinarne il movimento, ed è grazie a questo passaggio che sviluppa la percezione della visione tridimensionale.

Cosa è importante fare? Nei primi giorni di vita, gli occhi potrebbero apparire occasionalmente non allineati; se questi episodi dovessero protrarsi anche oltre i primi mesi di vita, o divenire più frequenti, potrebbero essere sintomatici di uno strabismo congenito o di altre anomalie oculari In questo caso è quindi consigliabile eseguire una valutazione ortottica ed una visita oculistica pediatrica.

Da 1 a 3 anni

La vista del bambino diventa via via sempre più definita, e la visione tridimensionale ormai completamente sviluppata gli permette di esplorare l’ambiente attorno a sé, stimolandolo ad una coordinazione motoria che lo porti a spostarsi nell’ambiente.
La capacità di coordinare i propri occhi diventa sempre più precisa, consentendogli di migliorare la messa a fuoco e di mantenere l’attenzione su oggetti in movimento.
Imparando ad elaborare le immagini, consolida la capacità di riconoscere le differenze di forme e di colore.
A 3 anni circa la sua capacità visiva arriva mediamente attorno ai 7-8/10.

Cosa è importante fare? A questa età solitamente è consigliata una valutazione ortottica che permetta di misurare l’acuità visiva del bambino (ovvero quanto vede), di evidenziare l’eventuale presenza di uno strabismo e di escludere la presenza di ambliopia (riduzione dell’acuità visiva di uno o entrambi gli occhi comunemente detta occhio pigro) o di altre anomalie della visione (come la necessità di occhiali) che richiedano una visita oculistica.

Dai 4 ai 6-8 anni

Mentre nei primi anni il bambino “impara” a vedere, in questa fase il suo sviluppo visivo dovrebbe essere completato. Da adesso in poi la visione rappresenta un mezzo fondamentale per imparare a leggere, studiare, conoscere.

Cosa è importante fare? Affermare che lo sviluppo visivo è ultimato non significa che i suoi occhi non possano subire delle evoluzioni. Gli occhi infatti sono organi dinamici che crescono fisicamente con il bambino e si modificano nell’arco della vita. Per questo motivo è importante proseguire con i controlli periodici, per far sì che il bambino continui a mantenere una buona qualità visiva.

I benefici dell'allattamento al seno con una visione osteopatica

Il cranio fetale grazie alle suture e all’estrema capacità di adattamento è in grado di rispondere alle forze e alle sollecitazioni meccaniche del parto.
Le strutture craniali sono infatti in grado di resistere alle contrazioni uterine che diventano sempre più importanti durante il travaglio e nella fase espulsiva.
Nel passaggio del canale del parto, le ossa craniali del feto hanno la capacità di sovrapporsi e chiudersi assumendo le sembianze di un bocciolo di un fiore, per poi distendersi e quindi schiudersi per azione della forza meccanica accumulata nelle pressioni del canale vaginale.
La forza immagazzinata viene rilasciata in maniera esplosiva una volta avvenuto il passaggio nel canale del parto.
Il momento della nascita dà l’innesco a quello che Sutherland in Osteopatia definì il “Meccanismo Respiratorio Primario” (MRP). Questo meccanismo, detto primario perché collegato direttamente alla respirazione di tutti i tessuti interni, ha cinque caratteristiche fondamentali:

In Osteopatia questi elementi insieme alla valutazione delle restrizioni di mobilità dell’apparato muscoloscheletrico e viscerale, sono parte fondamentale su cui si struttura il trattamento osteopatico.
Altri fattori che permettono il corretto rimodellamento craniale sono la respirazione e la suzione al seno.

Notevoli sono i benefici dell’allattamento dal punto di vista osteopatico in relazione allo sviluppo craniale dei neonati.
La crescita simmetrica del cranio avviene grazie all’elasticità delle suture, e l’allattamento incrementa la mobilità craniale attraverso la suzione.
Secondo uno studio condotto da Frymann (1) l’88,4% dei bambini presenta delle disfunzioni dell’elasticità suturale, che possono ridurre la crescita strutturale delle ossa contigue ed alterare lo sviluppo cranico.
L’allattamento al seno porta ad una maggior espansione intracraniale e maggior vascolarizzazione dei tessuti, verificabile anche tramite l’aumento di pulsatilità della fontanella bregmatica.

Grazie alla suzione si crea un vuoto intraorale, l’attività delle fibre muscolari del velo della faringe abbassa il palato duro e facilita il corretto sviluppo delle strutture craniali.
Il palato basso è essenziale per una buona morfologia dell’arcata dentaria, e la forma a “U” è necessaria per una buona occlusione e orientamento dei denti.
L’allattamento con il biberon porta invece a sviluppare un palato a forma di “V”, alto e ogivale, per cui i denti saranno portati ad inclinarsi in obliquo.
La tettarella del biberon inoltre essendo rigida non si adatta al palato dei bimbi ma lo impronta e lo deforma; nell’allattamento al seno sono invece capezzolo e areola che si adattano alla cavità orale e ne favoriscono l’ampliamento. Per questo l’allattamento al seno riveste una funzione di stimolazione e prevenzione delle malocclusioni.
È fondamentale pertanto nei casi in cui non si riesca ad allattare al seno scegliere un biberon che possa mimare il meccanismo della suzione, prediligendo una tettarella morbida e fornendo indicazioni alla mamma sull’alternanza delle posture corrette.

Suzione e deglutizione avvengono in continuità durante l’allattamento, senza distinzione delle due fasi. Il neonato effettua circa 60 fasi di suzione e deglutizione al minuto.
Per questo motivo, un’azione ripetuta migliaia di volte nei primi anni di vita può determinare importanti cambiamenti di conformazione del cavo orale.
Durante l’allattamento la mandibola si alza e si abbassa, l’azione dei muscoli orbicolare e buccinatore mantiene in contatto l’areola del capezzolo, e i movimenti peristaltici della lingua permettono al latte di scorrere all’interno della cavità orale.
La lingua nella suzione al seno compie un movimento verso l’alto e indietro verso il palato molle, mentre con il biberon il movimento è a “stantuffo” in propulsione anteriore.
Questa abitudine, oltre a favorire uno sviluppo alterato del palato e delle arcate dentarie, può innescare una deglutizione disfunzionale e/o una alterazione nella fonazione, cioè nell’emissione dei suoni nel parlare.
La lingua inoltre riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo posturale, poiché fa parte della catena miofasciale centrale faringo-paravertebrale (descritta da Struyf Denys): questa struttura allunga il corpo dal vertice agli arti inferiori e conferisce l’armonia delle curve fisiologiche della colonna vertebrale.

Un altro importante vantaggio dell’allattamento al seno è in relazione allo sviluppo delle strutture nasali, paranasali e all’ampliamento delle suture del massiccio facciale che determinano una migliore respirazione nasale.
La respirazione nasale riduce notevolmente il rischio di infezioni delle vie aeree superiori, grazie al fatto che l’aria immessa viene filtrata dalle narici.
La suzione è un atto del tutto spontaneo e fisiologico che il feto sviluppa già dalla decima settimana di gestazione: è pertanto un bisogno primario che permette lo sviluppo encefalico e degli organi interni.
L’allattamento stimola inoltre la produzione di ossitocina, chiamata anche “ormone dell’amore” perché viene secreto in tutti i rapporti affettivi, e questo ha un’importante influenza nella relazione che si instaura tra mamma e bimbo.
La suzione al seno, anche quella “non nutritiva” ha un’importante azione sul rilascio ormonale di endorfine, determinando nei piccoli un maggior senso di benessere, rilassamento e piacere. Proprio per questo motivo una volta finita la fase nutritiva i bimbi desiderano stare attaccati al seno ed utilizzarlo come una sorta di “ciuccio”.
L’alto contatto con la mamma incrementa il sentimento di sicurezza e protezione che i bimbi sperimentano nell’allattamento al seno, e agevola il passaggio dalla vita intrauterina alla complessa vita extrauterina, favorendo uno sviluppo armonico e autonomo.

  1. Relation of Disturbances of craniosacral mechanism to symptomatology of the newborn: A study of 1250 infant. JAOA. 1996; 65: 1059-1075.

Allattamento al seno, approccio osteopatico-ostetrico

I tre vantaggi, le tecniche e le valutazioni sul primo contatto tra mamma e neonato

Perché è importante allattare o almeno provare ad attaccare il proprio bambino al seno? Analizzando i vantaggi connessi con l’allattamento materno, possiamo suddividerli in tre categorie: materni, neonatali e relazionali.

Vantaggi per la madre: allattare permette un recupero psico-fisico più rapido nel post-parto: perdita del peso gravidico, riduzione delle lochiazioni grazie alla produzione dell’ossitocina (ormone che facilita anche il recupero emotivo), riduzione di ansia e stress, mitigazione degli sbalzi d’umore e riduzione del rischio di depressione post-parto.

Allattare riduce anche il rischio di sviluppare malattie tumorali legate a ovaio e mammella: il rischio cala in maniera più considerevole tanto più l’allattamento al seno viene svolto in maniera esclusiva. L’allattamento al seno ha inoltre un effetto benefico nei confronti dell’osteoporosi. Infine il latte materno è comodo, a costo zero e sempre pronto all’uso.

I vantaggi per il bambino sono legati allo sviluppo fisico globale.
Alcuni esempi: l’allattamento al seno ha un’azione antinfettiva verso otiti, infezioni intestinali e respiratorie; previene l’obesità e la comparsa di diabete; previene malattie cardiocircolatorie ed allergiche; riduce il rischio di patologie ortodontiche.
Il latte materno è quindi un alimento perfetto: ogni mamma produce il latte specifico per il proprio bambino e per le sue esigenze nutrizionali nel corso della crescita.

Il latte cambia composizione all’interno della stessa poppata e col passare dei mesi. Grazie al latte materno inoltre il bambino scopre nuovi sapori (che cambiano in base all’alimentazione materna), che renderanno più semplice l’approccio allo svezzamento.

Vantaggi relazionali: in questo caso è importante considerare che il latte non è solo cibo per il corpo, ma è coccola, è il naturale proseguimento della relazione intrauterina tra mamma e bambino. Il seno offre sicurezza, calore umano, occasioni di scambio verbale e di relazione intima con la madre.

Allattare facilita la relazione tra madre e bambino ricreando la loro fusione e rispondendo al principale bisogno del neonato, il CONTATTO. Inoltre la madre sarà facilitata nel riconoscere e accettare ritmi e bisogni di un bambino che non è precocemente indipendente, sviluppando quello che possiamo chiamare istinto materno.

Allattamento al seno: aiuto, posizione e osservazione

Allattare al seno è naturale, talvolta la sua pratica presenta tuttavia ostacoli che con sostegno e competenza si possono superare.

Il sostegno è il primo fattore indispensabile per iniziare ad allattare. La famiglia e il neo padre giocano un ruolo nel comprendere l’importanza dell’allattamento, nel riconoscere la stanchezza e la bravura materna. Il sostegno arriva anche dai professionisti dell’allattamento: l’ostetrica, in collaborazione con altre figure come l’osteopata, accompagna la madre che allatta.

Quando iniziare ad allattare? Il prima possibile. Già nelle due ore dopo il parto, quando nella madre e nel neonato circolano gli ormoni che facilitano il primo attacco. Il neonato è vigile e ha un istinto alla suzione molto pronunciato, la madre produce ossitocina e prolattina, ovvero gli ormoni dell’allattamento.

Ogni quanto attaccare il neonato? Frequentemente. Il seno è come un rubinetto che si apre producendo latte quando il bambino si attacca. Più frequentemente si allatta, più aumenta la produzione di latte per una corretta crescita. La madre è in grado di produrre la cascata ormonale per allattare e il neonato può sperimentare l’attacco rendendolo sempre più corretto.

Come attaccare correttamente il neonato al seno? È necessario portare attenzione a tre aspetti: la posizione del neonato (pancia contro pancia e naso all’altezza del capezzolo), la posizione materna (comoda e con le spalle rilassate ben in appoggio) e la posizione della bocca rispetto al seno (spalancata simil sbadiglio, lingua in basso e sopra la gengiva inferiore). Dopodiché occorre portare il neonato da dietro le spalle verso il seno per permettere l’attacco profondo.

L’attacco è corretto quando non si avverte dolore durante la poppata e rumori (simil schiocco), le guance hanno un movimento masticatorio e il capezzolo esce dalla bocca del neonato non schiacciato.

Lavorare su questi aspetti permette di allattare a lungo e di rendere l’esperienza appagante. Se si presentano delle difficoltà è necessario apportare le dovute modifiche. I fattori che influenzano un buon allattamento sono diversi, perciò il lavoro d’equipe diventa una risorsa per le mamme. L’ostetrica in collaborazione con l’osteopata sostiene le madri a individuare soluzioni personalizzate per l’attacco al seno e l’eventuale introduzione di supporti.

L’allattamento al seno dev’essere un momento di perfetta armonia tra la mamma e il bimbo, per questo è necessario renderlo piacevole ed evitare la sensazione di dolore.

Per favorire un corretto e prolungato allattamento al seno il lavoro in equipe con l’ostetrica è fondamentale: è pertanto utile che le visite si svolgano in maniera integrata.

La valutazione osteopatica nelle difficoltà di suzione si svolge sempre in un’ottica globale facendo particolare attenzione a cranio, suture, passaggi dei nervi cranici, articolazione temporo-mandibolare e lingua.

Infertilità e procreazione medicalmente assistita: aspetti psicologici

Avere un figlio è un evento naturale, scritto nel percorso di vita di una coppia. Naturale viene spesso frainteso con facile, spontaneo, ma le evidenze mediche e psicologiche hanno messo in luce quanto straordinario e al contempo complesso sia in realtà concepire un figlio.

Avere un bambino comporta a livello individuale l’acquisizione di una nuova identità, materna o paterna, mentre a livello di coppia rappresenta la realizzazione di un progetto condiviso e co-costruito tra i partner. Spesso si tratta di un sogno coltivato da tempo: il processo del diventare genitori ha inizio infatti molto tempo prima del concepimento, la gestazione psicologica di un figlio immaginario è antecedente a quella fisica.

Avere un bambino assume ulteriori significati a livello sociale e intergenerazionale, permette la continuità della famiglia, coinvolgendo quindi anche le famiglie estese.

Ecco che il non riuscire a concepire naturalmente un bambino rappresenta un evento doloroso, traumatico ed imprevisto, che ostacola la possibilità di realizzare il progetto condiviso di diventare genitori.

L’infertilità in Italia riguarda circa il 15% delle coppie, dato che a livello mondiale raggiunge il 10-12%.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’American Fertility Society (AFS), l’infertilità è definita come l’assenza di concepimento dopo almeno 12 mesi di regolari rapporti sessuali mirati non protetti, e può essere primaria, se non è mai avvenuto un concepimento, o secondaria in caso contrario.

Viene considerata una patologia e come tale deve essere trattata: l’accesso alla cura più appropriata per le coppie infertili è dunque un diritto.

Si parla di sterilità invece quando uno o entrambi i coniugi sono affetti da una condizione fisica permanente che non rende possibile la procreazione. Si tratta quindi di una condizione più grave rispetto all’infertilità.

In Italia la Legge 40 del 19 febbraio 2004 “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, stabilisce che per risolvere i problemi di sterilità o infertilità è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita quando non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per risolverne le cause.

Le coppie che contemplano la decisione di intraprendere un percorso di PMA spesso sono stanche e sofferenti, poiché hanno già vissuto frequenti delusioni e insuccessi, sperimentando sentimenti di perdita rinnovati dall’arrivo del ciclo mestruale, che segna mensilmente il fallimento del progetto. Pensieri e paure diventano sempre più presenti con il passare del tempo e con i continui tentativi naturali non andati a buon fine. Le coppie si trovano a gestire sensazioni di delusione, impotenza, dolore, rabbia e senso di fallimento. Sono spaventate, temono di non riuscire a diventare genitori, e più insuccessi si verificano più aumenta lo sconforto e la sensazione di essere “difettosi” e diversi dagli altri.

Queste sensazioni potrebbero poi intensificarsi ulteriormente se anche i tentativi di riproduzione assistita non andassero a buon fine. I partner si chiedono spesso perché proprio a loro sia capitata un’esperienza così traumatica e si attivano nella speranza di comprendere cosa stia accadendo e di risolvere il problema.

Scelgono così di consultare uno specialista, sottoporsi ad approfondimenti medici, arrivando spesso ad una diagnosi di infertilità che comporta un vissuto simile al lutto, e alla possibilità di intraprendere la strada della fecondazione assistita, scelta non facile perché può portare a sentirsi sbagliati rispetto all’immaginario sociale della gravidanza naturale.

Questo iter lungo e stressante, fatto di pratiche invasive, attese, incertezza del processo e preoccupazioni reiterate ad ogni step, è molto impegnativo a livello emotivo e relazionale di coppia. Gli studi indicano che sia gli uomini che le donne vivono stress e sofferenze psicologiche rispetto alla diagnosi di infertilità e al percorso di PMA, anche se in modo diverso.

In particolare, le donne sono più coinvolte sul piano corporeo intimo ed hanno reazioni emotive più intense, mentre gli uomini reagiscono più silenziosamente, esprimono meno i vissuti emotivi e si concentrano più su altre attività, per non analizzare le emozioni negative che suscitano sofferenza, e per cercare di proteggere e supportare la compagna.

Non dobbiamo dimenticare che l’esperienza dell’infertilità colpisce la qualità del legame della coppia e mette a dura prova gli equilibri costruiti fino a quel momento: i partner devono trovare le risorse per far fronte a qualcosa di imprevedibile ed estraneo che è la diagnosi di infertilità. Nella coppia possono generarsi atteggiamenti finalizzati a fornire sostegno e protezione oppure comportamenti conflittuali e ostili, che possono sfociare in accuse reciproche sulle responsabilità del fallimento procreativo che minano la coesione e la stabilità coniugale. A rischio è anche la sessualità, che spogliata della sua funzione riproduttiva può diventare un atto sterile e meccanico. In casi estremi, le relazioni sessuali finiscono per essere un mezzo per il “concepimento ad ogni costo”, in cui i ritmi del desiderio e del piacere sono sostituiti dai momenti di fertilità della donna.

L’infertilità è riconosciuta ormai come crisi di vita che coinvolge sia l’individuo che la coppia, ed è evidente il contributo che i fattori psicologici possono apportare per ciò che riguarda l’eziologia, le conseguenze e l’eventuale risoluzione del problema.

Vi sono varie ipotesi secondo cui i disturbi emotivi e psicosociali giocano un ruolo fondamentale nel determinare l’infertilità, e che la mancata generatività, associata alle indagini diagnostiche e all’intrusività dei trattamenti, possa provocare un disagio psicologico e sessuale, contribuendo al mantenimento, se non al peggioramento, dell’infertilità.

È altresì vero che non si può operare una netta distinzione tra cause ed effetti, tra fattori somatici e psichici, in quanto essi interagiscono tra loro delineando l’estrema complessità di questa condizione.

L’infertilità è un fenomeno complesso ad origine multifattoriale, e pertanto necessita di essere analizzato in tutte le sue sfaccettature. Fattori organici, biologici, chirurgici, psicologici sono tutti egualmente importanti e meritano di essere analizzati quando si parla di infertilità, nell’ottica di un approccio multidisciplinare che rispetti la complessità e la soggettività di quell’individuo, di quella coppia.

Mente e corpo sono due entità estremamente collegate e, per meglio comprendere i meccanismi che ostacolano il concepimento di un figlio, è necessario adottare una visione olistica del problema, basata sia sulla consulenza medica che psicologica.

Di fatto purtroppo si considerano spesso solo gli aspetti medici dell’infertilità e non viene favorita l’integrazione tra gli aspetti somatici e psichici, con il rischio che si consideri medico l’aspetto legato alle azioni sul corpo e psicologica l’implicazione emotiva legata all’esperienza di infertilità e del suo trattamento, senza uno spazio di condivisione tra le due competenze.

Tralasciare la componente psicologica nella diagnosi e nelle cure a discapito degli aspetti medici, significa trascurare e negare le emozioni che le coppie portano, favorendo le condizioni che possono influenzare negativamente gli esiti delle procedure mediche e riducendo le probabilità di successo di una terapia. Lo stress infertilità-correlato è infatti risultato associato in modo significativo allo scarso successo dei trattamenti. Inoltre, risposte emotive negative possono portare ad un’interruzione precoce della cura diminuendo le probabilità di gravidanza.

Seppur ancora lontani dal costituire una cultura condivisa nel rispetto delle specifiche professionalità, un approccio integrato medico-psicologico al trattamento dell’infertilità, ampiamente diffuso negli Stati Uniti ed in molti Paesi europei, potrebbe costituire la base per un lavoro più proficuo, sia per la coppia, sia per l’equipe multidisciplinare, facilitando il lavoro di tutti gli specialisti in campo. Solo introducendo un approccio integrato, il trattamento di PMA può essere concepito come una cura globale ad un problema che viene ampiamente definito come psico-somatico, nel senso di un’inestricabile partecipazione di fattori somatici e psicologici.

L’importanza del supporto e della consulenza psicologica come parte integrante di tutto il percorso di procreazione medicalmente assistita è stata sottolineata anche dal Consiglio Superiore della Sanità. Le Linee guida pubblicate ad aprile 2008, ad integrazione della legge 40 del 2004, introducono tra le varie novità l’obbligo per ogni centro di PMA di prevedere la possibilità di consulenza e supporto psicologico per le coppie che ne abbiano necessità, che devono essere resi accessibili in tutte le fasi dell’approccio diagnostico-terapeutico dell’infertilità, ed anche dopo che il processo di trattamento è stato completato. È inoltre fondamentale anche quando si instaura una gravidanza come esito di un trattamento.

L’Ansa riporta la notizia che il 40% delle coppie che inizia un percorso di PMA abbandona il processo in corsa, a sottolineare come questi percorsi si rivelino lunghi, incerti e faticosi da un punto di vista emotivo e relazionale sia per la donna che per l’uomo. Diventa perciò fondamentale rendere tale percorso meno doloroso, attraverso un accompagnamento psicologico prima, durante e dopo un trattamento di riproduzione assistita. Le Linee guida evidenziano inoltre come la consulenza debba essere proposta a tutti, e che tale offerta debba essere inserita nella cartella clinica al pari di qualsiasi altro intervento medico. L’individuo o la coppia, non dovrebbe essere quindi indirizzato allo psicologo (vissuto in maniera stigmatizzante ancora da molti), bensì quello psicologico dovrebbe essere “uno spazio per tutti” inserito nel percorso di trattamento, che faciliti la decisione, l’accettazione del carico che la terapia comporta e gli eventuali esiti.

In virtù di queste riflessioni, l’importanza del supporto psicologico dovrebbe essere presentata alla coppia in termini di opportunità e di risorsa. Se non viene formulato nel modo opportuno il rischio è che la coppia si senta per la seconda volta “difettosa”, da un lato per la sua difficoltà a concepire, dall’altro per il proprio funzionamento psicologico. La figura dello psicologo può accompagnare la coppia nel lungo e faticoso viaggio della PMA tra desideri, aspettative, paure, conflitti, angosce e speranze. L’obiettivo dell’intervento dello psicologo è creare uno spazio emotivo e di pensiero che permetta accoglienza, ascolto, contenimento e sostegno alla coppia, fornendo un prezioso aiuto nell’affrontare la complessità dei trattamenti e il possibile fallimento degli stessi, supportando nella valutazione delle alternative possibili alla PMA. Si configura come un’opportunità per i partner di parlare delle proprie problematiche, favorendo l’elaborazione del lutto legato agli insuccessi e alla diagnosi di infertilità, promuovendo un supporto e una buona comunicazione tra loro, rinforzando le risorse e promuovendo strategie più efficaci di gestione dello stress.

Gli studi scientifici condotti negli ultimi anni sulla valutazione dell’efficacia degli interventi psicologici nell’infertilità hanno dimostrato effetti positivi sull’ansia, sulla depressione e sullo stress infertilità-correlato. Si evidenzia che le coppie supportate da uno psicologo migliorano il loro vissuto emotivo e la sintomatologia psicofisica in modo significativo rispetto a coloro che non ricevono assistenza, e che aumentano le possibilità che i trattamenti abbiano come esito una gravidanza.

In conclusione, la letteratura evidenzia l’importanza di diversi interventi psicologici, siano essi individuali, di coppia o di gruppo, quale parte integrante di un approccio multidisciplinare al trattamento dell’infertilità.

Alla luce di queste considerazioni appare sempre più evidente e necessario ripensare l’intervento clinico nella condizione di infertilità e all’interno dei percorsi di PMA, prendendo in considerazione una nuova prospettiva che rientri in un modello bio-psico-sociale, che considera salute/malattia il complesso risultato dell’interazione tra elementi di diversa natura, e che imporrebbe così la realizzazione di processi di cura olistici, in cui diverse professionalità co-costruiscano percorsi di trattamento che mettano al centro le specificità di quell’individuo e di quella coppia, per cogliere la complessità della sofferenza vissuta.

 

Riferimenti legislativi:

- Legge 19 febbraio 2004, n. 40 "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.45 del 24 febbraio 2004.

- Decreto 11 aprile 2008 “Linee guida in materia di procreazione medicalmente assistita”, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n.101 del 30 aprile 2008.